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08/07/2005
Io che tifo Juve e Milan
di Franco Baldini

Sempre di più si sta meritando la palma di "Uomo dell'anno 2005". Cacciato dalla Roma perché in conflitto con le nuove politiche societarie di Rosella Sensi (cioè mettersi a pecorina di fronte alla Rubbentus), ora è disoccupato. Continua nella sua battaglia di pulizia, lo ha fatto nella Roma finché anche Franco Sensi se la sentiva di fare il Don Chisciotte, ora lo continua a fare da casa sua. Che bello sarebbe se un giorno scrivesse un pezzo su guardabassi.it.
Questo articolo dell’ex ds della Roma è tratto dal numero di Limes in edicola intitolato "La palla non è rotonda". Buona lettura.

No, non andate a controllare. la copertina della rivista che state leggendo chiedendovi se vi siete sbagliati nell’acquistarla, non occorre nemmeno chiedersi se chi scrive sia un omonimo di se stesso, magari lo diventerà, ma al momento sono ancora e proprio io: Franco Baldini, ex direttore sportivo e/o generale della Roma, ex agente di calciatori, ex calciatore professionista, un ex insomma. Non traete conclusioni affrettate, non siete in presenza di un maldestro tentativo di riabilitazione self-service al mondo dei «vivi» a qualunque prezzo. Niente cilicio e nemmeno cenere di cui cospargersi il capo, piuttosto l’urgenza di un invito con i suoi perché.
Sì, faccio il tifo per Juve e Milan perché sono le più forti, le più organizzate, quelle con i calciatori più bravi, quelle che possono affermare il prestigio italiano nelle competizioni europee e mondiali. Hanno il management migliore, che ho sempre invidiato, hanno la storia e la frequentazione con la vittoria, hanno il maggior numero di tifosi in Italia e nel mondo rispetto ai loro competitori e soprattutto non hanno una reale concorrenza, nel frattempo «curata» con la stessa pervicace perizia con la quale hanno coltivato e raccolto i loro innumerevoli successi.
Questo hanno e questo comunque avrebbero questi due club, loro stessi se ne debbono convincere. Qualora lo facessero, infatti, potrebbero tornare (o cominciare?) a mettere a disposizione del calcio le loro inconfutabili qualità ed a parer mio, in questo momento, il calcio ne ha di gran lunga più bisogno dei loro stessi club. Eccolo l’invito dunque: lavorate per il calcio, trascurando solo un poco gli interessi del vostro club, ne ricaverete un gran beneficio soprattutto per i vostri club.

Signori Galliani – che più di ogni altro conosce tanto se non tutto di sport, politica e televisione (scusate se è poco) – Giraudo – capace, come ha dimostrato, di cavare sangue dalle rape – Moggi – per il quale sono disposto a disconoscere una delle mie letture preferite, L’elogio della pazzia (Erasmo perdonami) e cambiarla per L’elogio della bugia, tale è la sua efficacia – signori, dicevo, ma davvero pensate che vincereste molto di meno se vi adoperaste un po’ di più per gli interessi di credibilità e maggior trasparenza del calcio in generale ?
Non credo, siete comunque i migliori. Potrebbe al limite sfuggirvi uno scudetto ogni tanto, che sarà mai, oppure una coppetta Italia, ma questo già succede. Non vi sfuggirebbe comunque la maggior parte dei titoli italiani e mai la possibilità (a meno di eventi eccezionali) di partecipare ogni anno alla Champions League. In cambio avreste un unanime apprezzamento per ogni titolo vinto senza scorie e senza dietrologie, che verrebbe accolto solo come la logica conseguenza dell’esercizio delle vostre a quel punto indubbie superiori capacità di gestione, programmazione ed abilità sul mercato. Non più un’inevitabile «fatalità» inquinata da mille sospetti che in fondo, lo ammetto, non vi rende giustizia, prestando il destro a chi si voglia appellare alla prepotenza più che alla competenza.
Suggerimenti sul come fare non ne ho da dare, volendo ne sapete ben più di me, più di tutti, basta volerlo, ma non dev’essere facile, vero? Passasse questo messaggio in fondo ne avreste solo da guadagnare, potrebbe restaurarsi lo «stile Juve» più che affermarsi l’«ostile Juve», potrebbero d’altro canto valorizzarsi sia la storia sportiva che i valori etico-comportamentali (e ne ha da vendere) del Milan, piuttosto che correre il rischio di venir riconosciuti come figuranti di campagne preelettorali. Insomma vincere rimarrebbe comunque prioritario, per carità, ma farlo correndo anche il rischio di perdere sarebbe un’operazione d’immagine e simpatia, voi m’insegnate, commercialmente destinata a rivelarsi vincente, anch’essa! Per me e la gente come me, che immagino tanta, privata dalle storie della vita della possibilità di fare un autentico tifo per qualche squadra in particolare, attaccati comunque in qualche modo al desiderio di farlo per il calcio in generale, sarebbe come tornare a respirare.
Avere ancora il desiderio di fermarsi a chiacchierarne, di discutere solo di tecnica e di tattica, e non quella sensazione di vuoto di fronte a un «ma che ne parliamo a fare!», del proprio interlocutore, e, soprattutto, di guardare una partita con il sano parteggiare per la squadra che gioca meglio e che ti dà più emozioni, piuttosto che fare il tifo per i più «deboli» come sempre più spesso ci capita di fare. È questo che il bambino ancora in me si rifiuta di mollare e vorrebbe ancora avere. Sì, faccio il tifo per Milan e Juve perché sono loro, più di ogni altro che lo possono fare. Faccio il tifo per loro perché è loro che voglio tornare a tifare. Quando difendono il prestigio dell’Italia in campo internazionale voglio ancora godere di tutto il pathos che ti deriva dal tifare la «tua» squadra nelle grandi occasioni, e non più sentire quel brivido di piacere lungo la schiena ad ogni gol degli avversari stranieri. Rivendico il diritto a tifare per «noi». In fondo, anche se vi ho tradito, vi perdono lo stesso.